Mon nom est Dieu di Pia Petersen

LETTERATITUDINEWS
Claudio Morandini
Septembre 2014

Un personaggio potente, ingombrante riempie le pagine di Mon nom est Dieu (Plon, 2014), il nuovo romanzo di Pia Petersen, autrice nata a Copenhagen ma francese a tutti gli effetti: è Dieu, Dio insomma, un Dio che si aggira massiccio e goffo per le strade di Los Angeles, malridotto come un barbone, tormentato da un assillo: perché gli uomini lo detestano? A questa domanda si legano altre: perché gli uomini gli attribuiscono la responsabilità delle loro scelte e soprattutto dei loro errori? Perché le grandi religioni monoteiste lo hanno frainteso, rendendolo ciò che non è e non è mai stato?

L’unica soluzione (non è più tempo di diluvi universali, parrebbe) è avvicinare la persona giusta, in questo caso una giovane giornalista di origini francesi, Morgane, e chiederle di scrivere la sua biografia, per sgombrare il campo da tutti gli equivoci che i testi sacri delle religioni rivelate hanno accumulato.

Dieu soffre davvero per la rottura del legame con gli uomini, quel legame di cui ha nostalgia (ah, i bei tempi di quando gli uomini lo chiamavano Zeus, e su di lui inventavano miti che lo ritraevano come un fantasioso seduttore!); proprio come lo Zeus dei miti, prova ancora una forte attrazione fisica per le mortali, al punto da perdere la testa ogni volta che ne incontra una piacente; e come Zeus si sente attratto anche dai mortali di bell’aspetto. Di fronte a uomini e donne che risvegliano in lui il desiderio, anche il suo aspetto cambia: non traballa più, non è più un vecchio lamentoso e rancoroso, diventa attraente, solido, ringiovanisce. Il sesso è ancora per lui una forma di conoscenza dell’altro, un esperimento della mente oltre che del corpo, un corollario indispensabile alla conoscenza, un ritrovarsi: e lui, che sa tutto, vuole sperimentare tutto, già che c’è.
L’ambientazione hollywoodiana non tragga in inganno.

Il Dieu della Petersen non ha nulla delle figure benevole e sbiadite di certe commediole misticheggianti americane: non assomiglia in nulla al Dio interpretato da Morgan Freeman o prima ancora da George Burns (qualcuno forse ricorderà quest’ultimo, con il berretto da baseball, nello sciapo “Bentornato, Dio”). Dieu sarà depresso, senile, fastidioso, ma all’occorrenza sa essere terribile, scatenare forze spaventose – sa essere anche tenero, docile, infantile, arrendevole. È davvero Zeus, uno Zeus ancora omerico e già falstaffiano o rabelaisiano, più che il Dio con tanti nomi raccontato dal Vecchio e dal Nuovo Testamento o dal Corano. E se proprio dovessimo trovare un attore adatto a impersonarlo in tutta la sua gamma di pose, dovremmo ricorrere a un Orson Welles (all’Orson Welles di tutta una vita, andando a ritroso, che so, dall’imponente e repellente Quinlan al Kane di “Quarto Potere”). È un Dio molto fisico, materiale, che ha ben poco di teologico (non avrebbe alcun senso, a questo punto, pretendere dal romanzo una maggiore solidità teologica), così verosimile che si può finire per credere nella sua natura divina senza smettere di essere atei, come accade a Morgan e ad altri personaggi.

È necessaria una precisazione: Pia Petersen non ha scritto una parodia alla Monty Python. Il suo non è un romanzo comico, anche se racchiude diverse scene umoristiche e mantiene un tono brillante. E il suo Dieu non sembra dotato di uno spiccato sense of humour. Il libro esprime invece, a modo suo e con una certa forza, un forte interesse personale, che la Petersen aveva già riversato in
Parfois il discutait avec Dieu del 2004 (se ne sono accorte le Edizioni San Paolo, che lo hanno pubblicato in Italia nel 2011 con il titolo un po’ melenso La strada è la mia casa).

La ricerca di Dio, nelle sue pagine, è da intendersi come ricerca da parte di Dio di un contatto perduto: una ricerca ardua, complicata dall’atteggiamento degli uomini e dal caratteraccio di Dio, dai pessimi rapporti tra Padre e Figlio (Gesù appare di sfuggita, e mette sempre di malumore il vecchio Dieu), dal proliferare di false Chiese (di una, paradigmaticamente americana, Dieu diventa per un po’ una sorta di super-sponsor, stordito dalla parlantina del fascinoso fondatore e soprattutto attirato dal fatto che all’interno di essa tutti gli adepti sembrano amarlo incondizionatamente). Gli uomini potrebbero benissimo fare a meno di lui: è lui, Dieu, che non riesce a stare senza di loro, sin da quando li ha creati per combattere una solitudine siderale.

Da un’altra prospettiva, meno immediata, Dieu è un “personaggio”, appunto, ovvero il prodotto di un’elaborazione mitologica, di una creazione letteraria. Anzi, è tanti personaggi insieme, visto che la letteratura (e i testi sacri sono letteratura, cioè, secondo la stessa Petersen, affabulazione, immaginazione, anche fraintendimento, anche manipolazione e inganno) ha prodotto su di lui opere assai differenti, e molti autori, anonimi e non, hanno ricamato su di lui sin da prima dell’invenzione della scrittura.

Pia Petersen ci dà solo una delle più recenti versioni di Dio. A questo punto il vagare smarrito di Dieu in un mondo che non riconosce e non capisce è anche quello, così pirandelliano, di un personaggio in cerca dei suoi autori, ai quali vuole chiedere ragione del trattamento che gli è stato riservato, quando sente, lui creatore degli uomini, di essere a sua volta frutto della creazione di questi.

Che Dieu sia davvero un carattere ingombrante è dimostrato dal fatto che in questa recensione si parli soltanto di lui, e non degli altri personaggi e dei numerosi pregi del romanzo di Pia Petersen: ma avremo tempo di tornarci su, perché
Mon nom est Dieu, che spero di vedere presto tradotto in italiano, è, a quanto pare, solo il primo titolo di un ciclo, che riprenderà gli aspetti rimasti in sospeso e darà adeguato spazio al voluminoso protagonista.